Il Prigioniero – The Prisoner

Una delle serie “storiche” della SF moderna è al centro di questo doppio articolo, un combo tra Nick il nocturniano e il nostro collaboratore Coriolano. Dopo decenni questa serie continua ad essere attuale, a lasciare inquieto chi la segue. Perché?La versione di Nick il Nocturniano

Numero 6: Dove mi trovo?
Numero 2: Nel Villaggio.
Numero 6: Cosa volete?
Numero 2: Informazioni.
Numero 6: Da che parte state?
Numero 2: Non posso dirglielo! Vogliamo informazioni. Informazioni. Informazioni.
Numero 6: Da me non le avrete mai!
Numero 2: Le avremo, con le buone o con le cattive le avremo.
Numero 6: Chi è lei?
Numero 2: Il nuovo Numero 2.
Numero 6: Chi è il Numero 1?
Numero 2: Lei è il Numero 6.
Numero 6: Io non sono un numero! Io sono un uomo libero!
Dal dialogo di apertura.

Londra. Un uomo di cui non viene fornito il nome ma che presumibilmente lavora in una posizione di responsabilità nel Governo o nei Servizi Segreti rassegna improvvisamente le dimissioni. L’uomo non fa in tempo a tornare a casa che viene stordito e rapito da sconosciuti.
Al suo risveglio si ritrova in un misterioso villaggio dove gli abitanti (tutti ex spie, scienziati o funzionari dimissionari) vengono indicati con un numero invece che con un nome; minacciose sfere conosciute come i Rover si aggirano per la vie cittadine pronte a soffocare o imprigionare chiunque non rispetti le regole. Nel Villaggio la privacy non esiste: ovunque sono installate telecamere perfino dentro le case, sorveglianti minacciosi impediscono che la gli abitanti del villaggio possano fuggire. Il tutto viene monitorato dal centro di controllo sotto la sorveglianza del Numero 2 – in ogni puntata una persona diversa-  che risponde solo ad un ancora più misterioso Numero 1.
Il tutto allo scopo di strappare i segreti posseduti dalle menti dei prigionieri.
Ma la vita al Villaggio nonostante tutto sembra scorrere serena come un qualsiasi luogo di villeggiatura, la maggior parte dei residenti pare accettare tranquillamente la prigionia dorata in un processo di spersonalizzazione sempre più aperto.

Solo il nuovo prigioniero, il Numero 6 non accetta questo status, da questo momento in poi due saranno i suoi scopi: scoprire l’identità del Numero 1 che regge le fila del gioco e poi tentare di scappare dal Villaggio.

Nonostante siano passati più di  quarantacinque anni dalla prima messa in onda a cura dell’ Emittente ITV  del primo dei  diciassette episodi che lo compongono THE PRISONER  mantiene se non tutta almeno buona parte della sua attualità specialmente se la rapportiamo alle nostre vite quotidiane in cui l’ essere osservati – o spiati – da telecamere e o mezzi di controllo è diventato la norma.
Proviamo però a pensare cosa dovesse anche essere il semplice pensare a questa eventualità nel 1967.
Pura fantascienza, vero?

THE PRISONER è  una serie di fantascienza, certo. Ma non solo.
THE PRISONER è una serie di  spionaggio, certo. Ma non solo.
Qui stiamo parlando di una metafora, della lotta di un singolo individuo per difendere la propria identità, per affermare la propria libertà.
L’ individuo Numero 6 combatte contro un ”sistema “( non importa quale tipo di “sistema”, se amico, nemico o semplicemente altro ) per non lasciarsi uniformare, per non seguire la massa.
Un sistema, il “Potere”  utilizza tutti i modi possibili per spezzare la resistenza dell’individuo: lavaggi del cervello, le già ricordate telecamere, tradimenti e doppi giochi continui, il non potersi fidare di nessuno nemmeno dentro la propria abitazione.
Bisogna anche tener conto del periodo in cui il serial veniva girato; il serial tiene conto di tutti gli sconvolgimenti che la società inglese ed internazionale stava cominciando ad affrontare: erano gli anni della Swinging London, della contestazione giovanile, del clima di contrapposizione tra il Blocco Occidentale e quello Sovietico, del Vietnam ma anche del progresso tecnologico e della corsa verso lo Spazio.
Tutto questo appare, sia pure in nuce, nelle sceneggiature del Telefilm: il design di THE PRISONER è un misto di tecnologia e design futuribili e architettura retrò, tensioni moderne e trame antiche.
Come spesso accade tutto questo nasce grazie all’ossessione di un uomo solo.

– IL NUMERO 6.

A dare volto al Numero 6 fu l’attore Patrick McGoohan (1928-2009);di origine statunitense ma da sempre residente in Gran Bretagna negli anni sessanta era uno dei volti più amati dal pubblico britannico;  non solo era anche uno dei beniamini dei produttori e registi per via del suo carattere tranquillo totalmente lontano dagli atteggiamenti da “divo” così in voga in quel decennio, sullo schermo gli venivano spesso affidati ruoli da “angry young man” …e proprio per questo il pubblico lo amava, in special modo quello femminile.
Per anni aveva interpretato il ruolo di un agente segreto della NATO all’interno della serie DANGER MAN (a.k.a SECRET AGENT ) forse la serie televisiva più popolare del periodo.
L’attore era talmente famoso che, in una fase iniziale era stato preso anche in considerazione per il ruolo di James Bond nel primo 007, ma l’attore profondamente cattolico rifiutò di interpretare il ruolo di un
personaggio che riteneva immorale in quanto bevitore e fumatore incallito nonchè impenitente donnaiolo.
Sia come sia il rifiuto di  McGoohan  spianò la strada ad un certo Sean Connery.

Inoltre fu lo stesso McGoohan assieme all’amico George Markstein a co-produrre la serie, e per concludere fu sempre l’attore a proporre THE PRISONER a  Sir Lew Grade, il Boss della ITV, uno degli uomini più potenti d’ Inghilterra il quale dichiarò che l’idea alla base della serie era talmente assurda che avrebbe potuto funzionare.
Lo show all ‘inizio del 1967 poté finalmente essere messo in produzione.
E fu lì che cominciarono i guai.

Grade avrebbe voluto una serie regolare di 2224 episodi mentre McGoohan preferiva concentrarsi su una miniserie di 13 episodi massimo, in più il produttore voleva considerare THE PRISONER come una sorta di seguito naturale di DANGER MAN lasciando intendere ai futuri spettatori che il Numero 6 altri non fosse che John Drake, mentre su questo l’attore non ci sentiva proprio.
Alla fine si raggiunse una sorta di accordo su un numero massimo di 17 puntate e sul fatto di lasciare nel dubbio riguardo l’identità del protagonista,anche se in un paio di occasioni vennero assunti degli attori già comparsi in DANGER MAN ad interpretare personaggi con lo stesso nome e funzioni della vecchia serie, così solo per confondere ulteriormente le acque.

– I NUMERI 2.
Man mano che la produzione andava avanti McGoohan dimostrò un atteggiamento sempre più morboso nei confronti dello show arrivando a suggerire trame sempre più folli e malsane.
Sue furono comunque alcune intelligenti intuizioni; tanto per cominciare quella di non creare un personaggio invincibile: il suo Numero 6 specialmente nelle prime puntate subisce diverse sconfitte nel suo tentativo di
fuggire dalla dorata prigionia del Villaggio, spesso viene tradito dalle persone di cui si fida, altre volte si rende conto amaramente che la maggior parte degli altri prigionieri si è rassegnato e arreso al “Sistema”. Un mondo
insomma in cui il protagonista è veramente un uomo solo contro tutti.
L’altra grande intuizione fu la scelta di non affidare ad un unica persona il ruolo del maggior antagonista, cioè il Numero 2.
Infatti la figura del “Comandante in seconda” della misteriosa organizzazione cambia di episodio in episodio, a volta anche all’interno dello stesso episodio; così come cambiano le motivazioni della sostituzione: in alcuni casi
il Numero 2 viene sostituito a causa di un fallimento con il Numero 6, in un altro caso va semplicemente in pensione, altre volte avviene e basta.
Uomini, donne, giovani,anziani non ha importanza, il Numero 2 non è eterno.
E se questo da un lato contribuisce a d accrescere l’effetto straniante della serie, dall’altro ne accresce il fascino e reitera l’eterno gioco gatto contro il topo tra il protagonista e il suo carceriere. In una relazione che spesso è di stima e di rispetto tra le parti.
In un certo senso è come se gli sceneggiatori volessero avvertire in merito alla d “banalità del male”: chiunque, nessuno escluso, se lo circostanze lo permettono, può assurgere alla status di carnefice. Sono solo due gli attori che interpretano il ruolo del Numero 2 per più di un episodio: Colin Gordon che compare in due occasioni e il grande Leo McKern in tre episodi.
In particolare McKern, che odiava il ruolo al punto di ammalarsi gravemente (di stress o di cuore- le testimonianze non concordano) durante le riprese avrebbe dovuto comparire negli ultimi tre episodi, però a causa di
ritardi nella programmazione della rete vide la sua interpretazione dilatarsi tra il secondo episodio e la doppia puntata finale.

– GLI ALTRI ATTORI.
A parte lo stesso McGoohan un solo altro personaggio compare in quasi tutti i diciassette episodi, cioè il maggiordomo nano del Numero 2, interpretato dall’ attore Angelo Muscat.
Muscat di origine maltese, qualche anno dopo avrebbe interpretato il ruolo di uno degli Oompa Loompa del film WILLY WONKA. Mentre al misconosciuto Peter Swanwick venne affidato il ruolo del Supervisore della sala controllo dei carcerieri.

– LA LOCATION.
Se  la serie de IL PRIGIONIERO era il sogno di Patrick McGoohan, ci fu un altro uomo che ebbe un influenza indiretta nel destino della serie.
Bertram Clough Williams- Erris era un architetto del ventesimo secolo  proveniente da una famiglia facoltosa, la sua aspirazione per tutta la vita fu dimostrare che l’architettura non era nemica del bello e che si potesse integrare con l’ambiente naturale senza distruggerlo. Per dimostrarlo praticamente, passo buona parte della sua vita a rinnovare un antico borgo di pescatori nel Galles.
Il risultato fu Portmeirion.
Il Borgo venne ricostruito secondo criteri mediterranei, più raramente bavaresi ma comunque  tipici dell’ Europa meridionale  e seguendo schemi classici quasi Neo-Palladiani: un luogo dove respirare un atmosfera senza tempo. Portmeirion  grazie alle case di Gough diventò in breve un ambito luogo di vacanza, oltre che il set privilegiato di diversi produzioni televisive e cinematografiche britanniche.
Lo stesso McGoohan vi aveva girato un episodio di DANGER MAN ambientato in Italia  (Sic).
La cittadina costituì l’ambientazione naturale per il serial, le sue architetture, le sue torri, le sue piazzette finirono per dare quel quid in più alla produzione.
L’ultimo tocco, quello definitivo, da parte dei produttori  a cui si era aggiunto lo sceneggiatore David Tomblin  fu di fornire un design in cui tecnologie futuribili convivessero senza alcuno sforzo con elementi retrò quali le ottocentesche biciclette  Penny Farthing.


– IL DESTINO DI UNA SERIE.

Il pubblico inglese inizialmente seguì le avventure del Numero 6 in maniera entusiastica, quasi fanatica. Molti, come aveva predetto quel vecchio volpone di Lew Grade vollero attribuire all’identità del prigioniero quella del tanto amato John Drake, altri si fecero catturare dal contesto totale della serie.
L’entusiasmo però non durò a lungo.
THE PRISONER aveva sì indubbi meriti ma anche altrettanti incontrovertibili difetti. Ogni episodio sembrava non tener conto dei precedenti, ad ogni puntata venivano fornite al telespettatore informazioni contraddittorie, che poi successivamente venivano smentite.  Lo stesso Villaggio in un episodio veniva collocato su un isola nel mare Mediterraneo tra Spagna, Portogallo e Marocco, in un altro nei paesi Baltici, altre volte viene fatto capire quanto non sia poi così lontana da Londra. Fu però l’ultimo episodio Fall Out (in Italia Evasione A.k.a La Rivolta) ad attirare le ire di telespettatori ed appassionati.
Girato con uno stile volutamente ironico ed allegorico, pur mantenendo una sorta di finale positivo Fall Out non rispose praticamente a nessuna delle domande e degli indizi disseminati durante tutto l’arco del telefilm. In
particolare molti furono disorientati dall’intermezzo onirico in cui venne tra virgolette svelata l’identità del Numero 1.

A livello produttivo THE PRISONER si rivelò un fallimento commerciale: la casa di produzione di Tomblin e McGoohan fallì, lo stesso attore in seguito ebbe a dichiarare di essere stato costretto ad allontanarsi da casa per un breve periodo a causa delle numerose aggressioni subite da fans delusi.
L’interprete a seguito del fallimento della sua creatura, pur rimanendo un attore molto apprezzato non ritrovò mai più il successo su cui poteva contare fino a qualche anno prima e preferì concentrarsi negli anni successivi a produzioni teatrali e cinematografiche ben mirate.

La produzione di THE PRISONER si era così conclusa, questo però non rappresentò la morte assoluta dello Show.
Nel corso degli anni il telefilm potè godere di numerose repliche. Più tutta una serie di programmazioni estere : in Italia la RAI ne trasmise numerosi episodi a già partire dal 1974, rinominandola ovviamente IL PRIGIONIERO.  Come per STAR TREK , come per centinaia di altre serie furono proprio  con le repliche che cominciò la vera  vita della serie, ad ogni  riproposizione, ad ogni nuova messa in onda aumentarono coloro che si lasciarono conquistare, coloro che si fermarono davanti allo schermo. O che cominciarono a farsi domande .
Perchè in fondo IL PRIGIONIERO parla di cose che ognuno di noi nel suo intimo più profondo può capire:  la lotta  di ogni essere umano per non  soccombere contro la burocrazia,  la  lotta del singolo contro il potere.
Insomma il desiderio di rimanere quello che siamo: incompleti, imperfetti, irrisolti ma  felicemente… umani.

La versione di Coriolano.

Il Prigioniero è una serie cult della fine anni sessanta che riesce ancora a catturare l’attenzione, sia per la buona qualità dei singoli episodi, sia per i temi trattati più che mai attuali.

Ma c’è anche un altro fattore che rende quella serie coinvolgente e attuale, ed è la sua conclusione così slegata dai cliché classici delle serie TV del periodo, e così simile al modo di concludersi delle serie attuali. Conclusione enigmatica, surreale e piena di simbolismi molto apprezzata adesso, ma che non mancò di provocare polemiche la prima volta che venne trasmessa.

E tutta la responsabilità di questo ricade su Patrick McGoohan, autore dell’episodio finale [Fall Out] ispiratore e ideatore di tutta la serie, nonché il protagonista, Il Prigioniero, Il N°6.

Questo episodio conclusivo, riprende dalla fine del precedente [Once Upon A Time] nel quale c’era stato il confronto psicologico col numero 2 [Leo McKern] finito con la morte di quest’ultimo, in questo episodio finale il prigioniero viene scortato da controllo [Peter Swanwick] e dal maggiordomo [Angelo Muscat] attraverso un lungo corridoio mentre diversi jukebox suonano in sottofondo -All You Need is Love- dei Beatles, finché si entra in una caverna dove riunita c’è un’assemblea o forse una giuria, un giudice [Kenneth Griffith], e molte guardie della sicurezza.

Segue un qualcosa di simile ad una proclamazione nella quale il numero 6 viene invitato ad accomodarsi sopra un trono, e al suo fianco si dispone il maggiordomo. A questo punto gli viene detto che non è più un numero ma un individuo, e gli viene data la scelta di diventare il capo e guida del villaggio, o la possibilità di andarsene libero. Dopodiché si passa ad istruire un processo sui diversi tipi di ribellione, qui fanno la loro comparsa un redivivo numero 48 il kid ex numero 8 [Living in harmony] [Alexis Kanner] ,che rappresenta la ribellione fine a se stessa dei giovani, e il numero 2 dell’episodio precedente [Leo McKern], a sua volta resuscitato, e che rappresenta la ribellione di chi ha ruoli di potere.

Entrambi vengono giudicati, e le loro ribellioni vengono soppesate confrontandole con quella del prigioniero, e infine giudicate sterili, così i due vengono portati via ma non prima che essi possano rivendicare la loro opposizione al potere dell’isola.A questo punto viene concesso al ex numero 6 di poter dire qualcosa, ma quando lui prova a farlo viene interrotto dall’assemblea che inizia a scandire sempre più forte la parola -IO-, c’è incomunicabilità, subito dopo al numero 6 viene concesso di incontrare il capo del villaggio, il numero 1, che da un razzo all’interno della caverna, sta seguendo ogni cosa.

Così con la guida del maggiordomo, il prigioniero arriva al cospetto del capo del villaggio e scopre che ha la sua stessa faccia, che è se stesso. Da questo momento la situazione precipita.

Il numero uno fugge in un altro settore del razzo senza dire nulla, il prigioniero libera il kid e il numero 2 e insieme si scontrano con le forze della sicurezza. Ne segue una violentissima sparatoria, nel mentre intanto il razzo predisposto dal prigioniero per il lancio, inizia il conto alla rovescia per la partenza. Nella confusione che segue i tre salgono su un carro alla cui guida si pone il maggiordomo e fuggono, qui si viene a scoprire che il villaggio è diviso dal mondo esterno solo da un cancello oltre il quale, Londra, è solo a poche miglia di distanza. Nel mentre loro fuggono, nel villaggio viene dato l’allarme generale, tutti iniziano a scappare mentre il razzo parte.

Nel frattempo gli ex prigionieri si dividono uno per volta. Il Kid resta a fare l’autostop lungo la strada. Il numero 2 entra in alcuni uffici. Il maggiordomo segue il prigioniero fino alla sua casa, e il numero 6, non più numero ma uomo libero prende la sua Lotus e con essa guida per le vie di Londra mentre la scritta Prisoner appare in sovra impressione. Le ultime immagini sono lui alla guida della sua macchina, le stesse immagini che si vedono ad ogni sigla iniziale.

Questo finale sconcertò chi seguiva la serie. Rabbia, l’impressione d’essere stati preso in giro, truffati, irrisi. Ci si aspettava altro, un ultimo episodio con la soluzione di tutti i misteri, e invece ci si ritrovava con un episodio carico di simbolismi, di rivelazioni assurde. Nessuna spiegazione sul perché il prigioniero si fosse dimesso, nessuna su chi aveva costruito il villaggio, nessuna su quale organizzazione c’era dietro, nessuna sul perché di tutto. Tanti interrogativi lasciati in sospeso, e le poche risposte ottenute non soddisfacevano.

Il villaggio non era più in un posto sperduto ma nel Galles, a poche miglia da Londra. Eppure così non era parso negli episodi precedenti.

L’identità del numero 1, si scopriva essere quella del numero 6. Ma davvero, il prigioniero e il grande capo di ogni cosa erano la stessa persona?

E le altre domande?

E cosa significava quell’assurdo processo, che ci facevano quei due il 48 e il numero 2, e quei richiami, quei simboli?

Abituati a ben altri finali, dove alla fine tutto era chiarito spiegato illustrato nei minimi dettagli, il pubblico di allora non seppe come interpretare cosa aveva appena visto. E non la prese per niente bene.

Bisogna ammettere che ancora adesso per molti, il finale del prigioniero appare enigmatico. E allora cominciamo col dire una cosa: a McGoohan non interessava dare un finale “tradizionale”.

Il perché delle dimissioni, il nome dell’organizzazione dietro il tutto, l’identità del numero 1, quelle ed altre erano risposte che un qualsiasi film o telefilm di qualsiasi genere avrebbe potuto dare in maniera semplice e completa, ma con quella serie lui voleva di più che intrattenere. Lui voleva costringere la gente a porsi domande, e darsi risposte scomode sulla stessa vita reale. Per capirlo si deve pensare all’uomo dietro il numero, dietro l’attore, dietro l’autore.

In più di un’intervista trapela da parte di McGoohan una sottile derisione per gli spettatori medi della TV, persone che abituate ai classici telefilm del momento non erano in grado a suo parere di andare oltre i binari dei cliché del genere, incapaci di comprendere ogni cosa che di poco si spostasse dai binari dell’ovvio, e senza approfondite spiegazioni, ma ancor più grande era il disprezzo che aveva verso un certo modo raccontare il genere spionistico, e non, con agenti segreti sempre pronti ad usare le armi, fare la bella vita e rotolarsi ogni notte con una [bella] donna diversa.

E qui c’è da fare una premessa, McGoohan sarebbe stato perfetto per il ruolo di Solomon Kane, lui il devoto cattolico avrebbe vestito perfettamente i panni dello spadaccino puritano di Robert Howard, in quel ruolo sarebbe diventato un’icona, come Schwarzenegger con Conan il barbaro. Ma tornando al prigioniero, queste parti del suo carattere sono delle chiavi importanti per capire in pieno il finale, che altrimenti potrebbe restare ambiguo, mentre invece è evidente. E allora: disprezzo per una certa narrazione fatta di cliché, una forte religiosità puritana, e per finire l’insofferenza per il progresso, e un’ostilità per il potere in generale. E ora riprendiamo le domande senza risposta o enigmatiche che si fece chi rimase deluso dal prigioniero e, tutto appare chiaro.

Perché le dimissioni?

Non è importante il perché delle dimissioni. Lo si potrebbe definire un pretesto, inoltre c’è già nella sigla iniziale, fin dal primo episodio, un indizio quando s’intravvedono riviste che fanno pensare ad agenzie di viaggio ed isole tropicali. Forse il protagonista era solo stanco e ne aveva abbastanza, solo la voglia di lasciarsi tutto alle spalle, di fare una vacanza, di cambiare vita. Ma allora perché non lo dice, perché si rifiuta fin dal suo primo arrivo sull’isola di ammetterlo, perché questa ostinazione che gli rende la vita impossibile se in fondo è una cosa così piccola, minima?

In seguito c’è chi ha pensato che tanta intransigenza nascondesse un grande segreto, invece no.Non ci sono segreti, ma c’è il rifiuto di cedere di fronte ad un potere dittatoriale.

Non è importante conoscere questo segreto, che non c’è, importante è il messaggio che NON si deve cedere con un potere dispotico, neanche per le piccole cose. Quindi il NON riconoscere le imposizioni di quell’autorità, il NON legittimarle in nessun modo, questo perché anche una piccola scusa, una piccola ammissione, una giustificazione, una mezza verità, o la stessa verità si trasformerebbe in un implicito riconoscimento e legittimazione di chi chiede e quindi, in una sconfitta.

E in questi casi non si tratta, l’opposizione deve essere totale, continua, assoluta, su tutto.

Cos’è l’isola chi l’ha ideata?

Per McGoohan non ha importanza quale sia la sua funzione reale nella storia, e non ha importanza quale sia il nome fittizio del personaggio o dell’organizzazione che l’ha ideata, la vera cosa essenziale è cos’è quel posto. Non nella serie ma nella realtà. Se si ripensa a tutti gli episodi si nota una costante: c’è l’ostentazione della tecnologia della scienza, del progresso in tutte le sue forme più avanzate, ma che siano telecamere, rover, chirurgia, microfoni, elicotteri, sieri della verità, ipnotici, super computer, tutti questi ritrovati hanno un solo unico scopo: schedare, etichettare, controllare, sedare, opprimere, conformare.

Allora l’isola è la rappresentazione del mondo, del nostro mondo reale dove il progresso è asservito al potere al fine di controllare le masse.Chi l’ha ideata? Chi ha i mezzi, poco importa se siano i grandi gruppi economici o politici, il messaggio è che chi ha il potere, con il progresso ha delle nuove potenti catene per intrappolare chi gli si oppone.

Chi è il numero 1?

Nell’ultimo episodio si viene a scoprire che il numero uno è il numero sei. O meglio, si scopre che il misterioso numero 1 ha la stessa faccia del numero 6, e non è la stessa cosa.

Il numero uno è l’antagonista del protagonista, il suo alter ego, la sua immagine negativa, gli si sarebbe potuto trovare un nome, una faccia, sarebbe potuto essere un Tom un Mike, magari uno dei comprimari della serie, un numero due, oppure poteva essere un personaggio mai visto, qualcuno verso il quale il prigioniero avrebbe potuto mostrare sorpresa…

-TU! Non è possibile…-

Ma ricordiamoci del disprezzo di McGoohan verso un certo modo di narrare, dove di sicuro si sarebbe usata una soluzione del genere, mentre invece lui preferisce un’altra strada, mostra un enigmatico individuo con una maschera e un numero, il numero 1. Il prigioniero gli leva la maschera e sotto c’è né un’altra di scimmia, gli leva anche quella e sotto c’è la faccia del prigioniero, ma: anche quella è una maschera.

Il confronto tra ribelle e capo della città è allegorico, non importa chi sia il personaggio dietro la maschera di numero 6, dargli un nome non renderebbe l’idea della rivelazione che McGoohan vuole dare, ovvero che il nostro peggior nemico siamo noi stessi, il nostro opposto, il nostro alter ego, il nostro lato negativo. Così non c’è un confronto/scontro reale.

Se lo fosse ci troveremmo di fronte a due numeri 6, oppure a due numeri 1, o a due gemelli, un sosia, una copia, un clone, una personalità multipla, ma una soluzione del genere sarebbe un espediente alla James Bond, cosa che McGoohan non avrebbe mai voluto. Niente di quanto accade è reale, è tutto simbolico. Non importa cosa sia accaduto nell’incontro, né che faccia realmente avesse il numero 1, l’unica cosa che conta è sapere che il nostro peggior nemico siamo noi stessi.

Dubito che queste riflessioni siano state fatte dagli spettatori del periodo, che come detto non apprezzarono. Ci si aspettava qualcosa di più tradizionale, qualcosa su cui dire bello/brutto , discutere una decina di minuti al massimo per poi, con la mente sgombra, cambiare canale per vedere cos’altro c’era in TV. Invece ecco che al rassicurante e atteso -vi spiego tutto- si sovrapponeva un messaggio incomprensibile. Delusione, e non solo.

Quando si arrivò alle immagini finali la sopportazione finì del tutto. Si perché ad irritare ancor di più, non furono gli enigmi, i dubbi, i colpi di scena assurdi, le apparenti mezze o nulle risposte, ma furono le scene finali. Insomma al diavolo quello strano processo, al diavolo le citazioni religiose come:

-i due ladroni. I redivivi resuscitati numeri 2 e 48.

-l’ultima tentazione. L’offerta di diventare il capo del villaggio.

-il risveglio dei morti. Lo spiritual “The bone” [Da Ezechiele, the valley of the dry bones]

-il numero sei e il suo opposto uno, come bene e male, Cristo e anticristo.

Al diavolo anche la sparatoria finale, anche se almeno quella comprensibile in quanto non si poteva abbandonare la lotta in cambio di un salvacondotto rilasciato da un potere dispotico e bugiardo… insomma al diavolo tutto ma cosa volevano dire quelle maledette immagini finali? Già perché vedere l’ex numero 6 a bordo della sua Lotus aggirarsi per Londra, il vedere apparire in sovra impressione la scritta prigioniero [prisoner], e poi le stesse immagini della sigla iniziale…Questo era troppo, sapeva troppo di palese voluta irrisione, inganno, presa in giro.

Un divertito McGoohan disse in seguito che ci fu quasi una sollevazione, che per un po di tempo dovette andarsene in posti meno trafficati e più tranquilli, ma allo stesso tempo lasciò capire che questo era il genere di reazione che voleva provocare. Da parte mia sono stra-sicuro che se quella parte finale fosse stata capita, le polemiche sarebbero state ben più accese e rabbiose. Per capire basta riandare al momento dell’assemblea, o processo,o consiglio, prima d’incontrare il numero 1. Lì si può notare come tutti i presenti sugli scranni abbiano il volto coperto da una maschera meta bianca e metà nera, e di come davanti a se ognuno di loro abbia una targa con scritto il suo compito: controllo, schedatura, riconoscimento, oppure un orientamento, un -ismo: pacifista, attivista, nazionalista.

Cosa significa questo?

Ebbene quelli sono i carcerieri, per i quali tutto è solo bianco o nero, quelli del o con noi o contro di noi, e quelle etichette sono le catene, che esistono dentro e soprattutto al di fuori del villaggio. Per McGoohan nessuno è libero, la libertà è un’illusione, nella nostra vita tutti noi siamo controllati, giudicati, soppesati, schedati, e conformati. C’è sempre una legge, un dovere, un adempimento legale a cui sottostare, c’è sempre un controllo schedatura riconoscimento e altro ancora in azione, e se non è un potere centrale, allora a limitare la nostra libertà sono le ideologie, gli -ismi, le convenzioni sociali, il sentimento popolare, le differenze di classe. Il vero momento di libertà per i prigionieri del villaggio, c’è solo durante la fuga.

Lì in quel carro guidato dal maggiordomo, i tre nel retro del carro in una riproduzione di una comune cucina trasformata in gabbia con robuste sbarre. Sono in una gabbia, dove tutti possono vederli, e li vedono, e ne restano sconcertati nel vedere questi tre che sembrano ubriachi, parodiare il te delle 5. Eppure in quel momento essi sono liberi. Liberi da ogni dovere verso la società, liberi dai sensati comportamenti che è rispettoso tenere, liberi dalle ideologie [chiese] di destra/sinistra. In quel momento il numero 6, il numero 2 e il numero 48 sono dei numeri a cui non corrisponde più nessuna etichetta.

Nessun dovere.

Niente.

Ma è un momento che dura poco. Il kid è il primo a scendere e a ri-prendere il ruolo del giovane ribelle, così lo si vede mentre cerca di ottenere un passaggio con l’autostop. Poi tocca al numero due. Lo si rivedrà con bombetta ombrello e vestito di scuro entrare in un importante ufficio, salutato da un poliziotto. Anche lui ha ripreso il suo ruolo, quello di uomo di potere. Ultimi restano il maggiordomo e l’ex numero 6. Ma il maggiordomo ha sempre il suo ruolo dal quale non esce mai, e ora il suo compito è quello d’essere il maggiordomo del’ex numero 6.

Quanto al protagonista, se prima c’era un numero 6, un numero che era IL prigioniero [THE prisoner] del villaggio, ora al di fuori del villaggio, lui è solo uno dei tanti che deve sottostare a regole, convenienze, divisioni di classe, doveri, obblighi, verso la società, verso il buon senso, verso quello che è ragionevole conveniente, verso le sacre tradizioni, verso l’ideologia dominante, verso il credo intellettuale del momento. Non a caso la porta della sua a casa a Londra si apre nello stesso modo di quella del villaggio, nonostante l’apparente libertà, egli è ancora un prigioniero, e per questo le ultime immagini si rifanno a quelle della sigla iniziale, perché il cerchio si è chiuso, e da una prigione piccola si è passati in una più grande, dove solo il non riuscire a vedere le sbarre da l’illusione della libertà.

Ecco perché la sovra scritta [prisoner], perché ora lui è solo uno dei tanti prigionieri che s’illude d’essere libero. Davvero, se questo messaggio fosse stato recepito, forse McGoohan avrebbe avuto problemi ben più grossi di quelli che ebbe allora. Una simile cosa in quell’Inghilterra dove le classi e le differenze sociali erano ben presenti, e sentite, non sarebbe passata sotto silenzio.

Invece il pubblico non capì. Troppo in anticipo sui tempi, o forse meglio fingere di non capire.

E ancora adesso questa è una serie che prende, affascina, si fa vedere ma che sembra enigmatica, quando invece non lo è, oppure forse anche ora si finge, perché capire significherebbe vedere, toccare le sbarre e le catene che intrappolano le nostre vite, e perdere per sempre l’illusione di crederci liberi.

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