Visti da lontano – Naufragio su Tschai

“Visti da lontano”, questo il titolo di una serie di post che vedranno come guest author dei non appassionati, persone che non leggono SF come genere principale e che possono appunto darci un approccio diverso a temi e storie che conosciamo. Questa volta è il turno di Erica, che affronta “Naufragio su Tschai”, prima parte della serie dedicata da Jack Vance a questo pianeta.

Jack Vance

Naufragio su Tschai

(Orig.City of the Chasch – 1968)

Edizione Oscar Fantascienza
Novembre 1992
Traduzione Beata della Frattina
ISBN 88-04-36629-X

Come iniziare questa recensione? Chi legge qui probabilmente non ha idea di chi io sia. Il che vale per la quasi totalità della popolazione umana, ma adesso non stiamo a sottilizzare. Diciamo che quei pochi lettori che sono soliti – per una qualche imperscrutabile ragione – seguire il mio blog sanno che non sono solita leggere fantascienza. Anzi, ammetto che è un settore che evito proprio, quando vado in libreria. Non c’è una ragione precisa, non è una decisione che prendo in modo razionale o consapevole, semplicemente la fantascienza è un genere che di per sé non mi attira. Forse perché tira in ballo ragionamenti scientifico-matematici che collego istintivamente a quella massa di materie che a scuola mi facevano dannare e mi scavavano la media, svilendo barbaramente i miei sforzi storico-letterari. Ad ogni modo, quando Nick mi ha proposto di scrivere una recensione per questa blogzine, lì per lì mi sono entusiasmata. Un po’ perché è la prima volta che scrivo al di fuori del mio blog e un po’ perché l’ho presa come una sfida. Se ne sarò uscita vincitrice o sconfitta non sarò io a dirlo ma voi, perché io di fantascienza, proprio non ne ho mai recensita.

E dopo tutto ‘sto popò d’introduzione, arrivo finalmente a dirvi che l’opera in questione è Naufragio su Tschai, prima parte della quadrilogia di Jack Vance dedicata al pianeta Tschai, pubblicata in America tra il 1968 e il 1970 ed edita in Italia nel 1971, per la celebre collana Urania della Mondadori.

Ho molte critiche da fare a quest’opera, così come debbo sottolinearne diversi pregi. Ammetto che la mia scarsa dimestichezza col genere rende un po’ più arduo del solito questo compito, in quanto sono priva di metri di paragone e possono – assai probabilmente – sfuggirmi richiami, rimandi e schemi tipici che un accanito fan della fantascienza noterebbe immediatamente. Ma andiamo a dare un’occhiata alla trama.

La prima scena ha luogo sulla navicella spaziale Explorator IV, sulla quale tre ufficiali si scambiano veloci battute sulla propria posizione, domandandosi se il pianeta che stanno osservando sia abitato o meno. Questi tre uomini hanno tutti un nome e un grado, ma mi risparmio di comunicarveli: alla fine della seconda pagina la loro astronave viene fatta esplodere da un siluro venuto dal già citato pianeta e di loro possiamo ben dimenticarci. A sopravvivere sono i due esploratori che sarebbero dovuti scendere sul pianeta, Reith e Waunder, già sulla scialuppa al momento dell’impatto, che riescono ad atterrare se non proprio illesi, almeno interi sul pianeta. Sfortunatamente, mentre il sistema di espulsione di Reith ha funzionato a meraviglia, spedendolo sul ramo di un albero, quello di Waunder non dà lo stesso risultato, lasciandolo a ciondolare attaccato alla navicella schiantatasi al suolo, immerso nel fango e con più ossa rotte che sane. Da qui in poi assistiamo, con gli occhi stupiti di Reith, ad una presentazione delle varie razze presenti sul pianeta Tschai. Prima compare quella che pare una tribù di barbari, in tutto e per tutto umani – uno dei quali decapita il malcapitato Waunder, azione che il capo pare giudicare abominevole, poiché in pochi secondi riprende e punisce il colpevole, umiliandolo e privandolo dell’emblema che indossava e che, si scoprirà più avanti, è un importantissimo simbolo per la comunità. Poi, dopo aver udito un lontano allarme, i guerrieri si ritirano, per lasciare spazio ad essere del tutto diversi, i Chasch Blu, esseri coperti di scaglie e con ‘scapole esoscheletriche chitinose’, accompagnati da curiosi umani che ne imitavano i modi e i movimenti. Dopo che anche questi esseri hanno analizzato la navicella e se ne sono andati, viene il turno dei Dirdir, creature alte e diafane, calve e aggraziate, accompagnate, così come i Chasch, da alcuni umani subordinati che ne emulavano vestiario e comportamento. Tempo dopo, quando anche i Dirdir se ne vanno, i guerrieri umani tornano a ispezionare la navicella e Reith, ricordando il disprezzo con cui il loro giovane capo ha punito l’assassino di Waunder, decide di chiamarli per chiedere aiuto, essendo rimasto bloccato sull’albero. Una volta che lo hanno portato a terra, sivnne per il dolore e per la stanchezza e quando rinviene, scopre di essere stato fasciato e curato e di trovarsi in un accampamento all’aperto. Il giovane capo della comunità, Traz ‘Onmale’, col tempo gli insegna la propria lingua, diventando poco a poco suo amico.

E ora, io mi trovo in una condizione di spiacevole imbarazzo. Io di norma cerco sempre di non fare spoiler, di abbozzare appena la trama e di raccontare solo l’inizio di un libro, fino al punto in cui il meccanismo ingrana e la storia comincia a scorrere da sé. È quello il punto in cui di solito mi ritraggo. Il problema è che in questa particolare opera la trama comincia ad ingranare parecchio avanti nella lettura, almeno in proporzione al numero di pagine. Tuttavia non mi sento di andare molto oltre nella spiegazione dettagliata, quindi mi limiterò a lanciare giusto quei frammenti di storia senza i quali non avrebbe neanche senso scrivere una recensione.

All’interno della comunità dei Kruthe, gli ‘uomini emblema’ che hanno accolto Reith, avranno luogo dei forti dissidi, in seguito ai quali sia Reith che Traz lasceranno la tribù, con la speranza prima o poi di poter trovare la navicella spaziale con cui il terrestre era atterrato. Faranno conoscenza con un sub-Dirdir – ovvero uno degli umani al seguito dei Dirdir – e avremo modo di conoscere tutte le varie credenze legate all’origine delle specie su Tschai, che personalmente ho trovato davvero fantasiose e variegate. Mentre la prima parte si concentrava più sulla vita di Reith tra i Kruthe, la seconda è fatta più di vagabondaggio, fughe e combattimenti. E ora veniamo a critiche e pregi.

Lo stile è asciutto, descrittivo ma non prolisso, anzi. Molto veloce, privo di fronzoli e abbellimenti. Devo dire che è stata una lettura avvincente e per nulla noiosa e che ho trovato davvero interessanti alcune trovate dell’autore, specie le mitologie.

Tuttavia, ho provato una certa irritazione in diversi punti, per lo stesso motivo. Forse l’esempio più lampante è la scena iniziale. Che senso ha dare un nome ai tre personaggi che esplodono con la navetta, se poi dovranno morire senza aver avuto né un carattere né un senso per noi? Era un’occasione per emozionare e stupire il lettore – a mio avviso – con una morte inaspettata ed è andata sprecata e lo stesso vale per il povero Waunder. Ho inoltre trovato un po’ artificioso l’alternarsi ordinato delle tre specie sul pianeta sotto gli occhi di Reith quando è ancora appeso all’albero dopo essere precipitato. Senza contare che ad un certo punto i nostri eroi cominciano ad infilarsi in situazioni pericolosissime uscendone senza un graffio. Io sono del parere che, se vuoi che il tuo personaggio se la cavi, dovresti evitare di fargli affrontare certe situazioni. Si salva una volta, si salva due, si salva tre, mobbasta, no? Non dico che gli vada sempre tutto per il meglio, ma diciamo che certe volte se la sfanga anche contro ogni probabilità.

La caratterizzazione. Non dico che non funzioni, perché dopotutto c’è un abbozzo dei personaggi e in un certo senso funziona. Però secondo me funziona perché sono personaggi molto semplici, privi di approfondimento e di peculiarità. Sappiamo come reagirebbero a date situazioni, ma è tutto lì. E per un’appassionata delle caratterizzazioni ossessive è veramente un peccato.

Ma c’è un’altra critica. Non alla trama, né allo stile, né ai personaggi. È una critica che forse altri blogger non avrebbero mosso, che magari farà storcere il naso ai fan di Vance, ma di cui comunque non mi sento di tacere. Compare un’inquietante setta di sacerdotesse. E io credo che per come vengono rese siano la più irritante e feroce critica ai movimenti femministi che io abbia mai visto. Era il lontano ’68 e in piazza si bruciavano i reggiseni. Trovatemi pignola o fissata, ma per me non può essere un caso. E vedere le uniche donne in tutto il libro in grado di combattere e cavarsela con una certa indipendenza dipinte come delle racchione che odiano gli uomini e invidiano le belle ragazze… dai, è palese. Manca solo il discorso delle nazi-femministe che abortiscono i feti maschi e siamo a posto.

Ultimissima osservazione, credo che Vance avrebbe potuto fare uno sforzo immaginativo in più nel concepire i raggruppamenti umani al di fuori della comunità Kruthe. Trattandosi di fantascienza, avrebbe potuto osare con le ambientazioni, regalandoci qualche scorcio d’impressionante surrealismo. Materiali e costruzioni bizzarri, rapporti economici o inter-personali regolati da norme per noi inconcepibili. Invece la foresta e i villaggi che ospitano le vicende di Reith e compagni non differiscono granché dalle foreste e dai villaggi che possiamo trovare senza troppi sforzi qui sulla Terra, saloon compreso. Mancano, a mio avviso, quei piccoli ma importanti dettagli che ti fanno assaporare per intero il gusto di un pianeta lontano.

In conclusione, lettura leggera e divertente, di cui già mi sono procurata il seguito. Un grazie a Nick per aver pensato a me e per i consigli e un grazie al resto della blogzine per la – spero meritata – fiducia. Mi scuso per la prolissità e spero di non aver fatto troppi errori dovuti alla mia ignoranza sul genere… e con la mano già protesa verso Le Insidie di Tschai – secondo volume della quadrilogia – vi saluto. Alla prossima!

Mi chiamo Erica, ho 24 anni e il mio nome di lettrice è, da poco più di un anno, La Leggivendola. Leggo di tutto (fantascienza a parte, LOL), voracemente e, non so bene perché, sento il pressante bisogno di sapere che anche gli altri leggono. Non so perché, forse perché chi non legge mi dà l’idea di non avere un’anima. E mi fanno paura, le persone senza anima.
Tolta la lettura non rimane molto. Sono molto eclettica e volubile, anche negli interessi. Seguo Youtubers, ascolto musica (qualsiasi genere, dalla classica al death metal, passando per le colonne sonore della Disney), guardo un mucchio di serie televisive e accarezzo gatti. Al momento studio Scienze della Comunicazione e non vedo l’ora di avere una laurea in mano per potermi iscrivere a quei bei corsi di editoria che non assicurano niente ma mi ispirano tanto. Sono tutta qui. Spero che la recensione non sia venuta poi così male!

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