Alessandro Forlani, I senza-tempo

Alessandro Forlani

I senza-tempo

Mondadori Urania n.1588

Novembre 2012

ISSN 1120-5288

Quarta di copertina.

Chi sono il dottor commercialista Totali, l’avvocato fallimentare Pantocrati, il notaio Maggioritariis? E sopratutto, chi è Monostatos il risvegliato? (Questi nomi, presia prestito nel 2012, nascondono attività mostruose.) Chi ha assassinato i bambini di una scuola elementare di provincia, divorandoli? (Le indagini sono tuttora in corso.) Cosa vogliono gli Archiburoboti, invasori meccanici già in marcia nel 2024? L’intempestiva risposta arriverà nella spaventosa Italia che si aspetta nel 2036, in un romanzo di magistrali nefandezze e originalità assoluta, vincitore del premio indeddo annualmente da “Urania”.

Il volume contiene inoltre i racconti dello stesso autore: “Sulla loro pelle”, “Masticano, nutrili”, “A tempo determinato”, “L’infezione”, “All’inferno, Savoia!”; il premio Stella Doppia “Lo scambiatore” di Marco Migliori e “Suburbi@ Drive” di Dario Tonani

Comprende anche un’intervista ad Alessandro Forlani a firma di Giuseppe Lippi

*** Attenzione! Di seguito troverete una combo da record! ***

La versione di Nick il Nocturniano

Non è che sia successo: succede; non è che io fossi lì: loro sono quì.

Io per una volta ho guardato. Non so che cosa siano: senza tempo, hanno detto, se lo erano non sono più umani.

Hanno il potere di farci credere ciò che vogliono, ci sprofondano nel passato, ci derubano del presente, ci hanno tolto il futuro.

Ci impongono il loro delirio disturbato, senile.

Non so come ci riescano: lo fanno.

Dal monologo di Clara a pagina 94.

Difficile credere che il romanzo I SENZA TEMPO sia lungo nemmeno cento pagine, certo possiamo aggiungere un altra cinquantina contenenti alcuni racconti di appendice, però il romanzo in sé stesso è minuscolo.

E qui arriva la prima sorpresa.

Una sorpresa positiva, che smentisce in pieno tutti le teorie sul fatto che un libro oggi per comunicare qualcosa debba per forza assumere le dimensioni di un piccolo Mammuth;  ne I SENZA TEMPO non solo c’è una trama appassionante e leggibile ma anche un potente  sotto-testo e un ancor più fondamentale  meta-testo.

I SENZA TEMPO con la scusa di offrirci un romanzo  posto a metà tra l’ Horror e la Fantascienza ci presenta una crudele metafora della situazione italiana; tutto comincia ai giorni nostri con il risveglio di una misteriosa creatura: Monostatos.

Monostatos  ci viene descritto come un minaccioso vecchio, un eterno negromante che tra le altre cose ha anche il potere di portare  sopra le cose una, nemmeno troppo, sottile patina di passato.

Ma l’essere è anche un cannibale, che per potersi mantenere nel suo stato d’immortale è costretto a mangiare carne di bambino.

In più sembra che la cosa gli piaccia.

Ed è a questo punto che comincia tutta la sarabanda. perché il negromante si risveglia proprio all’interno di una scuola e gli eventi che ne seguiranno influenzeranno le vite di un pugno di persone.

C’è il bidello Stefano, c’è una ragazzina di nome Nausicaa, che da quel giorno sceglierà di farsi chiamare Nauzika, c’è il piccolo nerd Daniele, c’è la reporter di primo pelo Clara, che quel giorno vedrà segnata indelebilmente la sua carriera…e poi c’è il “biondo” o se preferite Rommel, l’ucraino un piccolo disadattato, quasi alle soglie dell’autismo.

Teniamoli presenti tutti quanti, un piccolo gruppo di figure borderline, teniamoli da conto, dal momento che l’autore Alessandro Forlani si rivela un maestro nel tratteggiare queste figure di disadattati; in particolare quelle femminili.

Le donne di Forlani sono spesso figure a tutto tondo, capaci di grandi gesti di coraggio o di umanità ma anche di infiniti abissi di abiezione, però ricordiamoci anche di questo elemento: nell’universo forlaniano è la donna che porta su di sé i destini del mondo.

Più defilati, meno completi, meno risolutivi i personaggi maschili: tutti meno uno, quello all’apparenza più folle di tutti, in grado di opporsi al potere del male proprio grazie alla sua natura di “diverso”.

Superata la fase iniziale, Forlani segue i destini delle sue creature nel futuro: prima nel 2024 e poi verso l’epilogo della vicenda nel 2036 in un Italia sempre più povera, sempre più istupidita e dove la tecnologia funziona sempre meno. Un mondo in cui Monostatos non è certo il solo “Senza Tempo”, dove annidati nelle posizioni che contano, tra le pieghe del potere ci sono altri come lui.

Molti altri.

Difficile non scorgere una satira, una critica al sistema di potere a stampo gerontocratico della società italiana,  difficile non cogliere i riferimenti alla cronaca di tutti i giorni. Ancora più difficile non scorgere la metafora che I SENZA TEMPO fa della difficile situazione giovanile alle prese con un paese svuotato di tutte le ricchezze e di ogni promessa di futuro dalla rapacità delle oligarchie di potere.

Forse sono io che sbaglio, probabilmente questa è solo una mia chiave di lettura, ma è comunque la lettura che ne do io.

Vorrei porre l’accento anche sul linguaggio utilizzato da Forlani nel suo romanzo: un linguaggio forbito, forse demodé ma in questo caso stilisticamente adatto sia nella sintassi che nel lessico.

Ne I SENZA TEMPO ho visto usare espressioni ad esempio come “Cachinni” che era dai tempi di Lovecraft o di Clark Ashton Smith che non vedevo più usare.

E questa è la seconda sorpresa positiva: un inversione di tendenza contro l’imbarbarimento e la semplificazione della lingua italiana, un esplorazione delle sue ricchezze.

C’è un particolare che ha un poco sminuito il mio entusiasmo, però è cioè il vedere alcuni personaggi introdotti e poi non sviluppati fino alla fine anzi lasciati un po a sé stanti, penso ad esempio agli amici di Rommel messi quasi su un binario morto della narrazione.

Questo però rappresenta l’unica pecca del romanzo breve.

Per il resto gli appassionati di manga, anime, film o fumetti di genere troveranno infiniti riferimenti, infinite citazioni che daranno ulteriore gusto alla lettura, chi bazzica la rete troverà un inside joke proprio nel racconto finale tra quelli scritti da Forlani a compendio del suo romanzo.

Il racconto si chiama ALL’INFERNO, SAVOIA e ci sono personaggi chiamati casualmente: Mana; Siena; Greco; Gianola; Benuzzi;Santini e Girola.

Vi ricordano qualcuno?

La versione di Gianluca Santini (recensione apparsa anche nel blog Nella mente di Redrum)

Urania è un nome che sicuramente non può non dire nulla agli appassionati di fantascienza italiana. Collana di romanzi da edicola e premio letterario, il tutto sotto il marchio Mondadori, non proprio il primo nome a caso che passava di lì. Il premio Urania 2011 è stato vinto da Alessandro Forlani, autore che conosco e ho già ampiamente apprezzato leggendo suoi racconti brevi. Il romanzo vincitore è “I senza-tempo” pubblicato nel numero di novembre della collana. Leggere questo libro è stato un vero piacere e, complice la brevità del volume, ho letteralmente divorato le pagine in appena due giornate.

I senza-tempo” non è solo un romanzo, per Alessandro Forlani. Come spiega egli stesso nell’intervista contenuta nel volume, i senza-tempo sono quasi un’ossessione narrativa. Degli antagonisti che ricorrono più e più volte nell’opera dell’autore, con aspetti ed elementi diversi, ma tutti accomunati dall’idea di base. Esseri spregevoli che sovvertono lo spazio-tempo, che prolungano la loro vita a scapito dei giovani, letteralmente, e fanno annichilire la realtà circostante, annullando di fatto presente e futuro, per ritornare nel glorioso, almeno per loro, passato in cui hanno vissuto precedentemente.

L’apparenza esteriore può suggerire negromanzia, termine comunque utilizzato e citato all’interno del romanzo, ma l’impianto è squisitamente fantascientifico, come viene sottolineato nella seconda metà della storia accennando alla fisica quantistica. Ed è in questa commistione di fantascienza e horror una delle grandi forze della storia creata da Forlani, perché il lettore si trova di fronte a un mondo totalmente originale, caratterizzato da descrizioni di indubbia efficacia – specie quelle dell’annichilimento della realtà presente a favore di quella passata – e da suggestioni di natura diversa che riescono a compenetrarsi vicendevolmente senza sbavature di sorta. Creare un’ambientazione dettagliata mescolando generi differenti non è un processo banale, ma l’autore riesce nell’impresa, fornendo al lettore un mondo ricco di sfumature e incredibilmente coerente.

I senza-tempo sono il Male, con la maiuscola, quel Male che ragiona seguendo logiche del tutto aliene alla mentalità umana. Questo è particolarmente evidente nella psicologia di Monostatos, che, a differenza degli altri senza-tempo, non vuole scendere a patti con la realtà che lo circonda e vuole solamente perseguire i suoi obiettivi. Ciò rappresenta un Male eterno, data la natura di questi stregoni, e per questo ineluttabile e incontrastabile. Chi sopravvive a un loro incontro non può non restarne mutato per sempre, o a livello fisico o a livello psicologico. I senza-tempo corrompono chi li circonda, e avvicinarsi troppo a loro è deleterio per tutti. Non è azzardato sottolineare una lettura sociologica della storia, in rapporto a questo periodo di crisi economica e intellettuale. Questi aspetti sono presenti tanto nel romanzo stesso – basti pensare al sussidio per lo spreco del tempo all’università, oppure alla contrapposizione tra i senza-tempo, insediati nei luoghi di potere, e il loro cannibalismo nei riguardi dei giovani – quanto nei racconti posti in appendice e scritti sempre da Forlani all’interno dell’universo condiviso dei senza-tempo. Da questo punto di vista il racconto più significativo è “A tempo indeterminato“, vero e proprio gioiello horror sullo sfondo della crisi economica.

Lo spazio all’interno del romanzo viene gestito in maniera altalenante. Ci sono punti in cui è evidente un’accelerazione della narrazione, specie nelle battute finali, e altri in cui il ritmo è inferiore. Questo da un lato porta a non approfondire appieno alcuni aspetti della storia, dall’altro permette una lettura agevole e rapida, fluida e pulita, senza fronzoli eccessivi e per questo leggera e appassionante. Per quanto mi riguarda, gli aspetti privi di approfondimento vanno in secondo piano, perché la leggerezza raggiunta dalla narrazione grazie a questa scelta è talmente piacevole che il romanzo non può non lasciare dietro di sé un ricordo positivo. I personaggi sono numerosi e spalmati attraverso tre linee temporali. Nonostante ciò ognuno ha il proprio spazio narrativo e senza dilungarsi eccessivamente l’autore riesce a caratterizzarli tutti al punto da far stringere quel legame tra lettore e protagonisti necessario al coinvolgimento durante la lettura.

Lo stile di Forlani è del tutto originale, sfido chiunque a dire il contrario. L’uso dell’imperfetto per simulare i movimenti come nel cinema, parole desuete e costruzioni verbali atipiche sono gli elementi base dello stile dell’autore. Uno stile ricercato e maturato appieno, maneggiato con cura e senza scivoloni. Si nota l’estrema cura e la profonda conoscenza della lingua italiana dell’autore, e anche per un lettore a digiuno di narrativa di questo scrittore, entrare in sintonia con questo stile è sicuramente semplice e non forzato. Questo perché Forlani, oltre a possedere uno stile tutto suo, è capace di mettere a  suo agio il lettore, a fargli capire come è la scrittura a cui andrà incontro, e quindi a farlo entrare dentro la storia.

Chiudono il volume due racconti non dello stesso autore: “Lo scambiatore“, di Marco Migliori, e “Suburbi@ Drive“, di Dario Tonani. Il primo si fa ricordare per l’intreccio ben curato e l’idea di base intrigante, il secondo invece presenta una bella ambientazione e una buona costruzione dei dialoghi e dei rapporti tra i personaggi.

La versione di Davide Mana [già apparsa su strategie evolutive]

Ieri sera, complici una trasferta a Torino e le sempre più imprevedibili tabelle di marcia delle ferrovie nazionali, sono riuscito non solo a procurarmi, ma a leggere, l’Urania numero 1588, I Senza-Tempo, di Alessandro Forlani, vincitore tanto del Premio Urania quanto del Premio Kipple.
Ed un romanzo piuttosto chiacchierato, in rete.

Ma le chiacchiere della rete non mi interessano, come non mi interessano granché i premi.
Mi interessa invece parlare di questa storia, senza avere la pretesa di possedere la verità, ma cercando di spiegare prima di tutto a me stesso ciò che questa lettura porta con sé.

Non scenderò nei dettagli della trama.
Io credo che il punto nodale della storia sia facilmente individuabile in una singola frase, a pagina 61:

hai mai l’impressione che il marcio, il male per cui la vita non è granché e blabla, che la società fa schifo, non c’è speranza e blabla, che insomma non stia nei grandi eventi nazionali, che di quelli se sei sincero non t’importa granché, ma nel sordido, orrendo e grottesco sotto casa?

Perfetto.

Ora, secondo i dettami dello zen*, la perfezione è sterile – sono le imperfezioni e gli errori che conferiscono individualità e anima ad un artefatto.
E quando un artefatto possiede un’anima ed una individualità attraverso errori ed imperfezioni consapevolmente inclusi nella sua creazione, allora è chiaro che non si tratta più di errori e imperfezioni, ma di scelte autorali.
Di arte, se volete.

Nello scrivere I Senza-Tempo, Alessandro Forlani ha fondato la sua opera su una serie di “erorri” che palesemente errori non sono, e che le conferiscono un’anima ed una individualità.
Vediamo…

. il primo errore che non è un errore è il linguaggio di Forlani, che è preciso, costellato di termini desueti, che tuttavia, oltre ad essere funzionali a certi personaggi, agiscono da punto nodale del testo, attirando l’attenzione del lettore sui passaggi essenziali, sottolineando il ritmo.
Non solo la sintassi come stile, quindi, ma anche il lessico, come stile.

. la seconda imperfezione che non è una imperfezione risiede nei personaggi, tutti danneggiati e fragili, imperfetti, spesso odiosi o semplicemente antipatici, ma che per questo assumono una dimensione ulteriore nel momento in cui le vicende li obbligano a specifiche scelte, a specifiche prese di posizione.

. il terzo gravissimo errore che errore non è consiste nella metafora a grana grossa, facilmente decifrabile e che rende il romanzo grottesco, ferocemente satirico; il rischio di usare una mano troppo pesante, di fare una satira troppo facile, viene disinnescato proprio dai due “errori” precedenti e il romanzo avanza crudele senza stridere sulla nostra incredulità anche quando ci offre il massimo dell’implausibilità e dello sberleffo feroce.

Insomma, ci sono un sacco di motivi per cui questo romanzo non dovrebbe piacermi, e invece…
No, dire “mi piace” sarebbe inesatto.
I Senza-Tempo non deve piacere.
Deve casomai fare infuriare, andando a toccare con un bisturi arroventato dei nervi scoperti da due decenni almeno.
Ed in questo senso, funziona perfettamente.

Ed ha perfettamente senso che abbia vinto i due premi che ha vinto, essendo fantascienza ed essendo italiano.
Fantascienza non nel senso di astronavi e alieni invasori, ma di estensione e approfondimento di problemi reali, proiettandoli nel futuro attraverso la lente deformante del grottesco e dell’immaginario.
E italiano non nel senso di pizza, mandolino e forza azzurri, core de mamma e nostalgie diverse, ma nel senso che solo qui, solo ora, sarebbe stato possibile scrivere questa storia.
Ed Alessandro Forlani l’ha fatto benissimo.

I Senza-Tempo è un romanzo crudelmente divertente, intelligentemente politico e scritto benissimo.
Come sempre in questo caso, ne vogliamo di più, ne vogliamo ancora.

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* no, no, fidatevi, ha senso…

La versione di Marco Stabile (alias Salomon Xeno)

I Senza tempo è il romanzo vincitore del premio Urania (2011) e del premio Kipple (2012), pubblicato nella celebre collana Mondadori. Se ne fa un gran parlare sul web. Già, perché vale davvero la pena di leggerlo.

I senza-tempo sono persone dedite alla negromanzia, ricevendo in dono una lunga vita e una fame insaziabile di carne umana, nello specifico bambini. Il nomeviene dalla loro capacità acquisita di distendere e rattrappire il tempo a piacimento, con buona grazia di un certo fisico giudeo del novecento. È il risveglio di uno di loro, Monostatos, a dare il via alla vicenda, con una strage in una scuola elementare di provincia. Nel 2012, l’anno in corso. Alla strage sopravvivono tre bambini e un bidello, ma rimarranno profondamente segnati dall’esperienza. C’è anche una fotografa, che da quel reportage costruirà una carriera di successo documentando guerre, stragi e cataclismi vari.

Così, balzando brevemente al 2024 e poi al 2036, seguiamo la crescita di questi personaggi e l’avanzata indisturbata del negromante. Monostatos cerca infatti i suoi simili, non riuscendo a capacitarsi che in un’epoca così debole e facile da controllare non ci siano altri risvegliati.

Ovviamente, la situazione è più complessa.

Senza entrare troppo nel dettaglio, questa non è una storia piacevole. Non c’è vendetta a basso costo. La ragione per cui Monostatos non trova i suoi simili è anche più inquietante della sua voracità di giovani vite, oltre che una rappresentazione metaforica di quello che, secondo Forlani, è uno dei mali della società italiana – anche se alcuni storceranno il naso.

Non ci sono personaggi vincenti. “Ci sono a stento personaggi”, direbbe Vonnegut. Ciò è in parte vero, perché i protagonisti sono, in varia misura, dei disadattati. Quella messa meglio, la giornalista, è una disadattata mancata, e solamente perché un reportage fortunato l’ha salvata da una vita di precarietà. L’emarginato dei tre ragazzi, inoltre… beh, è un emarginato! In effetti, non è una novità che a contrastare il male siano proprio coloro sui quali nessuno punterebbe un soldo. Il personaggio meglio riuscito forse è proprio Monostatos, con il suo aspetto aristocratico (e un po’ decrepito) e la parlantina secentesca.

Molto interessante è anche il ritratto dell’Italia futura, fra trovate stravaganti e ironia da mettersi le mani fra i capelli. L’istruzione, il lavoro e altre istituzioni sono ormai a rotoli. Una sorta di “nel peggiore dei casi”, con buona dose di graffiante realismo. Molti degli sviluppi immaginati da Forlani non sono che un’esasperazione della situazione attuale.

In conclusione, I Senza-tempo è un libro davvero ben scritto. Presenta un linguaggio mai banale, acuto e spesso forbito. Basti pensare a parole come “cachinni”, dal sapore ottocentesco. Forbito ma mai forzato, straordinariamente adatto, anzi, alla narrazione. La prosa di Forlani è scorrevolissima e il romanzo, piuttosto breve, fila via che è un piacere. Le scene d’azione sono ben descritte e la caratterizzazione dei personaggi è lasciata a pochi dettagli ben curati.

Non manca una certa dose di spacconeria. La stregoneria, vi assicuro, è solo la punta dell’iceberg.

Forlani, già insegnante di sceneggiatura, sfrutta la sua arte cinematografica per rendere la narrazione il più possibile vicina a un film, e ci riesce. La successione dei punti di vista, e altri trucchetti a cui accenna nell’intervista in fondo al volume (io lo prendo in parola) funzionano.

Insomma, se non si fosse capito un libro che consiglio ai vari appassionati di fantascienza e non. Probabilmente è uno dei libri migliori che ho letto quest’anno. Il libro, inoltre, contiene anche cinque racconti dello stesso autore, che spaziano dalla breccia di Porta Pia al suo futuro poco rassicurante, sempre riguardanti i senza-tempo. Arricchiscono il tutto due altri racconti, di Marco Migliori (vincitore del premio Stella Doppia) e Dario Tonani.

Consigliatissimo.

La goccia di fiele, di Angelo Benuzzi

Alla fine di questa super-combo, una goccia di veleno, una critica mancava. Perché non tutto è perfetto nel pur bel lavoro di Forlani, proprio no. Si nota che è stato fatto un lavoro di fino, che si è speso tempo e fatica per cesellare al meglio questo romanzo (più in generale anche il volume di cui fa parte) ma… data la brevità dello scritto, molto denso ma più simile a una novella che non a un romanzo standard, non era proprio possibile creare qualche pagina di spazio in più per la narrazione principale?

Dare respiro alle vicende dei senza-tempo, profondità e campo alle loro malefatte nel nostro paese, dare qualche altro elemento per capire come si fossero così profondamente insediati nel tempo e nello spazio. Ne sarebbe valsa la pena, no? Così come rimangono inespressi altri piccoli particolari, altre minime vicende che avrebbe reso ancora più ricco (e più barocco, forse) l’intero impianto della narrazione. Vedete, a fine lettura, prima di passare ai racconti a firma dello stesso Forlani, ho avuto un senso di disappunto, un che di vuoto che suggeriva la parola “ancora”. Mi spiego quella sensazione solo come ho descritto prima, con la necessità di avere 5-10 pagine ancora, la ciliegina su una torta magistrale.

I racconti, pur buoni, aprono porte che potrebbero portare ad altre novelle o ad altri romanzi e rimangono anch’esse chiuse. Per ora. Visioni multiple e malate, inviti a guardare dietro le quinte con cautela dato che sorprendere chi fa muovere le illusioni non è disposto ad accettare la cosa supinamente. E ancora, una fiammata da Porta Pia, da un 1870 lugubre e ispirato (mia interpretazione) da Hyeronimus Bosch. Per chi se lo domandasse, capirete dopo aver letto il racconto, il riferimento alla fiammata non era casuale.

Devo dire di non aver gradito troppo la decisione di inserire altri due racconti, di Migliori e di Tonani, dopo i lavori di Forlani. L’idea penso fosse di avere un numero tutto italiano e i due racconti valgono senz’altro la lettura ma non hanno niente a che fare con le atmosfere del resto del volume e a mio parere finiscono con lo stridere, non poco, rispetto al resto. In ogni caso, tornando alla decisione di conferire il premio Urania a questo romanzo, devo dirmene soddisfatto. Questa è sicuramente una via autoctona alla SF, che non trova un diretto paragone nel mercato anglosassone.

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