Dan Simmons – Hyperion / La caduta di Hyperion

Diamo il benvenuto con questo post a un nuovo collaboratore, Francesco Omar Zamboni, che si presenta con un dittico di tutto rispetto su due romanzi molto amati dal pubblico. Welcome aboard Francesco!

Hyperion (Orig. id.)

  • 464 pagine
  • ISBN: 978-88-347-1815-5
  • Anno di pubblicazione: 2011
  • Editore: Fanucci
  • Traduttore: G.L. Staffilano

La Caduta di Hyperion (Orig. The Fall of Hyperion)

  • 560 pagine
  • ISBN: 978-88-347-1816-2
  • Anno di pubblicazione: 2011
  • Editore: Fanucci
  • Traduttore: G.L. Staffilano

In primis, chi c’è dall’altra parte delle lettere stampate che intessono l’arazzo dei due libri che ci accingiamo a recensire? Chi è questo Dan Simmons?

Potremmo tentare di inquadrarlo dicendo che è scrittore di fantascienza, di horror e di narrativa mainstream. Saremmo nel giusto e allo stesso tempo prenderemmo un granchio grande quanto un’astronave, questo perché ben pochi esponenti delle sopracitate categorie si troverebbero a proprio agio a confrontarsi con Simmons, in special modo riguardo alla quadrilogia di Hyperion (di cui, evidentemente, Hyperion e La Caduta di Hyperion costituiscono solo la prima parte). Una spacconata incensatoria? Neanche per sogno, qui non si sta provando a dire che Simmons sia il vertice fra gli scrittori di tutti questi tre generi, questo lo deciderete o meno leggendo le sue opere, ma piuttosto che il nostro risulta immancabilmente diverso da quasi tutti gli altri scrittori di fantascienza, di horror o mainstream: nel Ciclo di Hyperion Simmons è scrittore di fantascienza-horror-mainstream tutto allo stesso tempo, senza soluzione di continuità, non semplicemente narratore di fantascienza con una bella prosa o maestro della letteratura che confeziona un involucro fantasioso per il proprio estro.

Dan Simmons è scivoloso, una chimera che rifugge categorizzazioni troppo rigide, e così la sua opera. I primi due libri del Ciclo di Hyperion mostrano una compenetrazione organica e indissolubile tra l’anima fantascientifica, quella horror e quella squisitamente letteraria; eliminatene anche solo una delle tre e Hyperion non è più Hyperion. È come un gioco di pesi tarati alla perfezione, nessuna componente rischia di farsi stucchevole proprio perché ci sono le altre due.

 

Un paio di note per inquadrare la trama

Siamo nel ventottesimo secolo, con la Terra annientata da un misterioso cataclisma e l’umanità sparsa in un piccolo braccio della Galassia in una federazione di innumerevoli mondi detta Egemonia dell’Uomo, che si tiene in piedi grazie a navi (non molto) sovra-luminali e alla tecnologia dei Teleporter, una sorta di rete di wormhole che solo le Intelligenze artificiali alleate dell’Egemonia sono in grado di forgiare.

Alla vigilia di una guerra per il possesso del pianeta periferico Hyperion fra l’Egemonia e gli Sciami dei ‘barbari’ Ouster provenienti dallo spazio profondo, sette pellegrini con trascorsi completamente differenti in parte decidono e in parte vengono spinti a compiere un viaggio di sola andata sullo stesso Hyperion. Meta del pellegrinaggio sono le Tombe del Tempo, colossali manufatti che paiono muoversi nel tempo in modo non sincrono con il resto del mondo, e il mostro omicida che là dimora, lo Shrike. Secondo una profezia infatti lo Shrike esaudirà il desiderio di uno di loro, mentre agli altri sarà riservato un destino peggiore della morte: penzolare per sempre sul mostruoso Albero di Spine, attanagliati nel dolore più assoluto.

C’è però molto, molto di più dietro le apparenze, riguardo a protagonisti come alla natura del mostro e in verità dell’intera storia umana. Infatti né le Intelligenze artificiali, che controllano i destini dell’umanità nascoste nell’ineffabile Tecnonucleo, né l’Egemonia e tanto meno gli Ouster sono quello che sembrano. Il mistero andrà infittendosi fino allo svelamento di una prospettiva strabiliante quanto terribile. Ma evitiamo spoiler.

Perché leggere Hyperion e La Caduta di Hyperion?

Di seguito alcuni degli elementi che più hanno colpito chi scrive, ma sensibilità diverse potrebbero averne colto un’infinità di altri:

  • Lo Shrike e l’Albero di Spine. L’antagonista, se così può venire impropriamente definito, è forse uno degli elementi che più di ogni altro riesce a fondere in sé i tre aspetti di cui sopra: siamo di fronte a un orrore meccanico-organico legato a un paradosso temporale (aspetti fantascientifici), che porta morte e dolore senza fine nei modi più orrendi alle proprie vittime (aspetto orrifico) e che allo stesso tempo può essere visto come metafora dell’ineluttabilità della sofferenza che attanaglia ogni essere vivente dalla culla alla tomba e del valore purificatore di quella stessa sofferenza (narrativa di portata universale). In parte mostro meccanico, in parte Messia del dolore, in parte demonio fantascientifico, è senza dubbio uno degli elementi più esaltanti dei due romanzi.
  • La struttura narrativa. Hyperion e La Caduta di Hyperion sono la medesima opera spalmata su due volumi, e nonostante questo Simmons riesce a fornire una struttura narrativa coerente e distinta a ognuno dei due. Il primo libro, anche in omaggio a grandi classici come i Racconti di Canterbury, è suddiviso nelle testimonianze che i pellegrini si scambiano durante il viaggio verso le Tombe del Tempo. Ognuno dei sei racconti che compongono il romanzo è presentato in uno stile narrativo differente: attraverso il diario di un vecchio gesuita, o nella narrazione in terza persona passata di ciò che è accaduto allo studioso biblico, o ancora come resoconto in prima persona e così via. La seconda parte, in questo meno sperimentale, alterna invece fra una terza persona passata, per presentare quello che succede ai Pellegrini nei pressi delle Tombe del Tempo, e una prima presente, mostrando cosa scuote l’Egemonia attraverso gli occhi di un nuovo e molto peculiare protagonista.
  • I personaggi. Nonostante la narrazione sia tortuosa Simmons riesce a rendere quasi tutti i numerosi protagonisti (ci sono almeno otto-nove personaggi principali) memorabili, insieme eroici e ispiratori di umanissima pietà. Tra i meglio riusciti non possiamo non citare il gesuita dubitante Padre Paul Duré, il poeta Martin Sileno la cui musa è lo Shrike stesso, lo studioso della Bibbia Sol Weintraub alle prese con un nuovo Dilemma di Abramo e la vecchissima ma risoluta Meina Gladstone, guida dell’Egemonia su cui grava il peso di un tradimento fatale.
  • I riferimenti letterari. Simmons dialoga continuamente con la grande letteratura in un gioco di rimandi, citazioni e vere e proprie provocazioni a ripensare la tradizione. Giusto qualche esempio su tutti: Martin Sileno decanta versi dal gusto romantico conditi con taglienti giudizi sulla letteratura antica e moderna; Hyperion è il titolo di un poema incompiuto di John Keats riguardo alla guerra mitologica tra i titani e gli dei olimpici; allo stesso John Keats è dedicato La Caduta di Hyperion ed è attraverso una reincarnazione del poeta, voluta dal Tecnonucleo, che vediamo accadere la maggior parte degli eventi in questo secondo libro.
  • Colpi di genio. Dalla metà in poi de La Caduta di Hyperion la trama comincia a galoppare, sviluppandosi magistralmente in colpi di scena calibrati alla perfezione, fino a una conclusione che ha mandato il vostro recensore (energumeno di novanta chili con poca pazienza per i sentimentalismi) in lacrime.
  • Dio. Chi scrive non ha mai trovato un romanzo di fantascienza in grado di trattare il problema metafisico di Dio, e del problema conciliare un tale Dio con il Male, in modo così lucido come fa Hyperion. Simmons non scade in un banale contraddittorio tra ateismo e teismo, riesce a trattare il problema senza voler dimostrare in modo forte una propria tesi* (cosa che spesso e volentieri scrittori anche di grande levatura come Greg Egan fanno, riducendo i propri avversari dialettici a macchiette da ridicolizzare). Geniale e commuovente poi la soluzione data al Dilemma di Abramo che assilla Sol Weintraub, un ribaltamento di ruoli in grado di illuminare un senso tutto nuovo della religione.

Perché non leggere il Ciclo di Hyperion? Provoca sindromi da lettura ossessivo-compulsiva.

  • Scripta manent. Se vi dilettate a scrivere fantascienza, come chi vi parla, leggere Dan Simmons vi farà deprimere e non poco. Pensate di avere sotto gli occhi, carta canta, la migliore fantascienza scritta come Dio comanda (cosa rara, anche nei grandi) e poi confrontatela ai vostri sforzi più intensi e più appassionati: vi sentirete vermi che hanno strisciato compiaciuti nel fango.
  • Qualche stortura si può in ogni caso trovare, con la lente d’ingrandimento. Al di là dei soliti plot device (navi sovra-luminali, etc), qualche inesattezza scientifica a volte può saltare all’occhio (ad un certo punto un personaggio usa un’arma sonica nello spazio, tanto per dirne una). Le descrizioni inoltre sono spesso molto dense, e a volte ingolfano la lettura. Forse la pecca più notevole del romanzo sta nell’idea delle Tombe del Tempo, evocativa e ben inserita nel tessuto narrativo ma per certi elementi gestita in modo non particolarmente felice: rimane fumoso ad esempio il modo in cui le Tombe e i loro ‘campi antientropici’ dovrebbero interagire con il resto del mondo (di fatto succede solo quando serve all’autore), e dei gustosi paradossi che potrebbero risultarne non ne viene mostrato che uno. Perlopiù le Maree del Tempo che a più riprese investono le Tombe e i pellegrini non provocano a questi ultimi altro che nausea e un senso di deja-vu. Una gestione della cosa un po’ ‘pigra’ da parte di un autore come Simmons.

* L’opera si snoda sull’evidenza a livello narrativo che un specie molto particolare di dio personale esista, ma questo approccio non ha la stessa portata di quelli cercano di dimostrarne tramite logica l’esistenza o la non esistenza anche nella realtà, e anzi lascia aperta la possibilità al lettore di dubitare che quel dio sia un vero Dio.

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