René Barjavel – Il viaggiatore imprudente

Massimo Citi punta questa volta verso la Francia, per parlarci di un viaggiatore imprudente quanto pochi altri. L’articolo è apparso in precedenza su LN Libri Nuovi Out of Print.

Merita perlomeno un ricordo un romanzo di sf del 1958 di René Barjavel, pubblicato una decina di anni fa per la prima volta in italiano da Garzanti: Il viaggiatore imprudente (Orig. Le voyageur imprudent, 1943).

Barjavel, in compagnia di Gaston Vandel e pochi altri, è stato uno degli autori di punta della sf francese degli anni ’50 (frequentemente tradotti in italiano negli Urania, in compagnia degli autori tedeschi). La FS europea dell’epoca, è bene chiarire, raramente possedeva caratteri propri e riconoscibili rispetto a quella degli autori americani ed inglesi, anzi si autodenunciava troppo frequentemente come prodotto non originale per i toni enfatici e il gigantismo nei temi, e mancava il più delle volte del rigore – tecnico ma anche di intreccio – degli autori d’oltreoceano.

Questo romanzo di Barjavel, una spericolata esplorazione del tema del viaggio nel tempo, ha caratteristiche molto più spiccatamente europee, anzi decisamente francesi, a partire da certi modi della narrazione che ricordano i toni divertiti di Jules Verne, dall’ambientazione prevalentemente parigina, fino al gusto per il paradosso che in diverse occasioni sembra prendere allegramente di mira le distopie e le visioni allarmanti del Wells de La macchina del tempo.

Pierre Saint-Menoux è un giovane matematico, tipicamente esile, miope e distratto. Arruolato nell’esercito francese nel corso della seconda guerra mondiale, incontra casualmente un suo vecchio professore, Noël Essaillon (Essai = esperimento, professor Sperimentoni, in sostanza). Essaillon dopo lunghe ricerche è riuscito a sintetizzare una sostanza, la Noëlite, in grado di trasportare avanti e indietro nel tempo chi ne fa uso.

Saint-Menoux si candida volentieri a fare da volontario per il professore, anziano e disabile, e iniziano così i viaggi del giovane matematico nel futuro, fino a giungere al 100.000 D.C.

Arrivato a verificare che l’umanità del remoto futuro avrà un’organizzazione non dissimile da quella di un formicaio, e dopo aver avuto conferma che la nostra società è destinata ad una rapida decadenza, Saint-Menoux sarà costretto dalla morte di Essaillon, avvenuta nel corso dell’unica spedizione che egli abbia voluto affrontare di persona, a far fronte al banale problema della sopravvivenza, sua e della figlia del professore, della quale è tacitamente innamorato. Compirà così alcuni viaggi nella Parigi della Belle Epoque improvvisandosi ladro inafferrabile. Infine, colto da manie di grandezza, deciderà di modificare la storia dell’umanità uccidendo Napoleone Bonaparte nel corso della campagna d’Italia. Il tentativo fallirà, aprendo tuttavia la strada ad altri curiosi paradossi.

Letto nel terzo millennio il romanzo di Barjavel non presenta nulla di nuovo per il lettore di oggi, ma, a differenza di molta sf dell’epoca, non ostenta toni ingenuamente entusiastici né tetramente catastrofici, presenta i buffi connotati di un piccolo capolavoro del modernariato, una freschezza di ispirazione che lo rende una lettura piacevole anche a sessant’anni di distanza.

In quanto ai numerosissimi paradossi temporali che il romanzo allinea (Saint-Menoux che incontra se stesso nel futuro, che modifica il passato e insieme tutti i libri di storia, che uccide per errore un proprio antenato, eliminando letteralmente la narrazione della quale è protagonista), le cui implicazioni paiono in alcune occasioni essere sfuggite di controllo anche all’autore, sono un ulteriore incentivo alla lettura. Infatti possono dare origine a stimolanti discussioni – rompicapo con amici e congiunti.

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