Dario Tonani – L’algoritmo bianco

Dario Tonani

L’algoritmo bianco [Urania 1544 – Marzo 2009]

Mondadori – Urania

Devo dirlo: “L’algoritmo bianco” mi ha fatto arrabbiare. Arrabbiare con me stesso, per la miopia con cui per troppo tempo ho snobbato gli autori di SF italiani*, e con il mondo, perché testi di qualità come questo non riescono quasi mai a presentarsi come si deve al pubblico internazionale**.

Ma passiamo a esaminare l’opera in questione.

“L’Algoritmo bianco” è in realtà solo il primo dei due romanzi brevi ospitati in questo numero di Urania; il secondo, “Picta muore!”, ne costituisce a tutti gli effetti un prequel: medesima ambientazione, stesso protagonista, personaggi chiave che ricorrono.

Il legame fra i due romanzi, che sviluppano trame separate ma dal ‘gusto’ molto simile, è tale da renderne quasi inevitabile un’analisi unitaria. I rilievi che seguono valgono, quindi, tanto per “L’algoritmo bianco” che per “Picta muore!”, se non quando indicato espressamente.

Come di consueto, si cercherà di limitare al minimo i riferimenti alla vicenda per evitare fastidiosi spoiler.

L’ambientazione

Partiamo da questa perché rappresenta di certo l’aspetto meglio riuscito dei due romanzi di Tonani. L’idea è prettamente cyberpunk, con una Milano (e dintorni) abbandonata al degrado più assoluto e abitata, o forse infestata, da una popolazione ormai priva di anima: in due parole scarafaggi umani, capaci di farsi l’un l’altro le cose più meschine pur di emergere per un istante dal mare di liquami in cui sono immersi. L’inquinamento è una costante tanto a livello ambientale, nello squallore di una metropoli che è quasi un’abnorme discarica, quanto a livello psicologico, con l’agoverso (una sorta di internet mentale che collega chi ha la possibilità di farsi innestare speciali aghi cerebrali) infestato dalle cosiddette ‘blatte’ (agenti infettivi a metà fra virus informatici e malattie mentali).

Una delle idee più interessanti è quella di interconnettere strettamente la dimensione ‘fisica’ della sporcizia con quella mentale: è possibile prendere una ‘blatta’ alzando la cornetta di un telefono non schermato, o guardando i pixel corrotti di un’insegna pubblicitaria, o respirando i vapori venefici di particolari murales. Tonani in questo va a segno, perché nell’ancorare la corruzione mentale a qualcosa di ‘greve’ e concreto riesce a stimolare quel senso di ripulsa istintivo che sarebbe stato ammazzato utilizzando invece metafore astratte (come fanno diversi autori, in cui la dimensione mentale-informatica arriva ad assomigliare a una sorta di asettico ‘mondo delle idee’ di reminiscenza platonica). Un personale plauso alla scena della farfalla intenta a ‘codificare’ il virus: bellezza e sporcizia insieme. Raramente ho provato una sensazione di meraviglia e disgusto forte come nel leggere quel breve passaggio.

L’ambientazione dei due romanzi è quindi promossa a pieni voti: non ci sono idee radicalmente innovative, ma l’estetica classica del cyberpunk è rivisitata in un mix concettualmente solido e narrativamente gradevole. Se proprio vogliamo trovare un difetto, si può dire che dopo 250 pagine di pozzanghere sempre putride, edifici sempre scheletrici e luoghi sempre colmi dei miasmi più svariati, l’atmosfera comincia a trascinarsi un po’. Anche il degrado stanca, alla lunga. Nella propria relativa brevità “L’algoritmo bianco” non soffre particolarmente di questo problema, ma magari una futura opera più corposa potrebbe.

 Lo stile

Perfetto, c’è poco altro da dire. Crudo, sporco, in certi passaggi allucinato: la forma aderisce perfettamente al contenuto. Personalmente mi dispiace che lo spazio per gli spunti speculativi venga sacrificato in favore delle scene d’azione, ma è pura questione di gusti.

Gradevoli e azzeccati i giochi grafici di frasi che ‘deragliano’ ed ‘esplodono’ nella pagina.

La trama

Niente di eccezionale, da questo punto di vista. La trama de “L’algoritmo bianco” è la più appassionante e insieme la più intricata, a volte non immediata da seguire nei suoi snodi (è implicato un paradosso temporale); quella di “Picta muore!” è invece più diretta e lineare, con scene gustosamente politically in-correct, anche se esce penalizzata dal risultare per molti versi simile a quella del primo romanzo.

Anche se le vicende si susseguono in modo godibile direi che non è l’intreccio il piatto forte dei due romanzi, quello che spinge a girare la pagina è il pensiero di quale nuovo abominio lisergico ci riserverà l’agoverso.

I personaggi

Ho tenuto questo aspetto per ultimo perché è quello che mi ha interessato relativamente di meno.

Gregorius Moffa, il killer a pagamento protagonista di entrambi i romanzi, riesce a emergere fra gli altri personaggi specie in quei momenti (in realtà rari) nei quali viene a galla che razza di carogna sia realmente: ad esempio quando gli passa per la mente di ammazzare un bambino irritante e vendere la memoria dell’esecuzione al mercato nero come snuff movie. Per il resto Gregorius si appiattisce abbastanza sul cliché del protagonista-da-noir, e in quanto spesso incalzato dagli eventi non ha molte possibilità di evolvere, né verso una qualche redenzione né verso la dannazione totale. Parallelamente, la bella ninfomane Selima sembra esserci solo per un omaggio un po’ di maniera alla dimensione vacua e degradata della sessualità che tanto piace al noir/hard boiled. Non dico che in un mondo come quello proposto da Tonani questo sia incoerente, tutto il contrario, ma forse si poteva sottolinearlo costruendo al contempo un personaggio più singolare.

Fra i comprimari quelli che suscitano più empatia sono i due uomini cui Gregorius dà la caccia (dotati entrambi di capitoli POV), anche se risultano delineati in maniera abbastanza vaga per quanto funzionale. E bisogna aggiungere che l’intera ambientazione tende, per quanto mi sembra di capire volutamente, ad anestetizzare l’empatia del lettore, rendendolo poco più compassionevole dello stesso Moffa nel momento in cui arriva la fine per i due disgraziati.

Note di colore interessanti vengono invece da personaggi che sono quasi più elementi di ambientazione: la farfalla infetta; i ‘malati-di-blatte’ in parte pazienti, in parte prigionieri e in parte merce di scambio dello sporco ‘medico degli aghi’, Jena; l’assistente-scimpanzé dello stesso Jena; il cane-zombie Mademoiselle; le stesse super-‘blatte’ con cui Gregorius deve fare i conti e che sono un po’ i veri ‘protagonisti occulti’ dei romanzi.

In definitiva, “L’algoritmo bianco” e “Picta muore!” sono romanzi notevoli, specie a livello ambientativo e stilistico. Il libro resta assolutamente consigliato a chi ama il cyberpunk e la fantascienza d’azione, ma anche coloro che come me solitamente apprezzano opere più speculative e ‘di concetto’ non avranno da pentirsi di questa lettura.

* A mia parziale discolpa c’è da dire che fare indigestione di esordienti, spesso anche se non sempre vittime di una notevole ingenuità, non è esattamente il modo migliore per stimolarsi l’appetito.

** Per il sottoscritto è inconcepibile trovare per il web traduzioni in inglese di autori esordienti – che con mio sgomento sembrano riscuotere tanto più successo tanto più la qualità tende ad assestarsi sulla su un livello mediocre – e non ce ne siano invece di opere come “L’algoritmo bianco”. Se sapete che ne esistono fatemi un fischio, mi togliereste un peso dal cuore.

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