Charles Stross – Giungla di cemento

Quarta di copertina.

Può sembrare uno scherzo, una bravata da ragazzi, ma quella mucca di cemento apparsa improvvisamente nella campagna inglese per l’Agenzia britannica preposta al controllo delle attività magiche e occulte potrebbe essere l’annuncio di un problema dalle origini oscure. Un problema che appare connesso ad altri misteri del passato: dai rapporti segreti provenienti dall’India di fine Ottocento a inquietanti esperimenti scientifici del Novecento. Riemergono storie incredibili, che tuttavia potrebbero spiegare la ricomparsa di un pericolo che ha attraversato due secoli per svegliarsi oggi. L’agente Bob Howard dell’Unità Anti Possessione viene svegliato nel cuore della notte per indagare e chiarire cosa ha portato alla trasformazione di quella mucca. Anche lui, all’inizio, prende la cosa con ironia e leggerezza, però a mano a mano che si addentra nella ricerca si rende conto che la sua indagine lo sta portando a contatto con una spietata macchinazione che mai avrebbe potuto immaginare.

Recensione.

Nel 2004 Charles Stross fa uscire un dittico per i tipi della Golden Gryphon Press intitolata “The Atrocity Archives“, il volume contiene la novella omonima e un lavoro di più ampio respiro, “The Concrete Jungle“. Il successo di vendite e di critica, nel 2005 arriva un premio Hugo per questo lavoro, apre una serie ambiziosa e difficile – forse la serie più divertente tra le creazioni di Stross. L’autore si è già fatto conoscere con due lavori di assoluto rilievo, “Singularity Sky” e “Iron Sunrise“, e non è esagerato definirlo come una stella in fortissima ascesa. Eppure, invece di ribadire i temi che lo hanno fatto conoscere, fa un passo avanti e crea un mix di spy story, fantascienza, orrori lovercraftiani, informatica, magia nerissima e humor britannico – aggiungendo, già che c’era perchè non esagerare, piccoli tocchi per rendere tutto più verosimile che danno profondità alle tematiche di base come testimonianze dal passato.

I libri di Stross sono sempre leggibili a più livelli e in questo piccolo capolavoro non manca un intero strato di rimandi culturali. Dalle citazioni di stile, Ian Deighton su tutti, agli ammiccamenti ai sancta sanctorum dei serivi segreti inglesi, al costante understatement con cui il protagonista, Bob Howard, affronta qualsiasi cosa gli capiti di fronte (a proposito, vi ricorda nulla questo nome?). Lo stile è quello del flusso di eventi, seguiamo i pensieri e le azioni del protagonista mentre si trascina tra un problema e l’altro, tra un orrore e l’altro, sempre cercando di mantenere quel briciolo di sanità mentale che gli impedisca di regredire allo stato infantile sotto la pressione di eventi e personaggi davvero larger-than-life. Il ritmo è sempre alto, ogni scena è piena di suggestioni e di rimandi al punto da costringere almeno a una seconda lettura.

La complessità d’altro canto ha un prezzo. I lettori meno smaliziati o che condividono solo in parte i temi dell’ambientazione possono trovarsi spaesati o non cogliere appieno il perchè Stross scelga di citare un evento o di dare una spiegazione in un particolare momento. E’ qui il lato debole di un lavoro così ambizioso e al tempo stesso la sfida che l’autore lancia ai suoi lettori. “Sono qui”, sembra dire, “venitemi a prendere se ci riuscite”. Attenzione però, Stross non bara. Dietro alle sue trovate, alle citazioni e all’azione, c’è sempre una logica. Le sue sono storie oneste e trovano sempre il bersaglio senza mezzucci. Un testo come questo può essere un assaggio significativo della produzione dei primi anni dell’autore e un biglietto per un giro in ottovolante che difficilmente si potrà dimenticare.

Nota di merito per  Chiara Codecà, riuscito nel difficile compito di tradurre bene un autore così inventivo anche dal punto di vista lessicale. Sono segnalati come collaboratori Luigi Rosa, Marica Rancati e Paolo Attivissimo. Da segnalare come meritorio anche il lavoro di Salvatore Proietti, la sua introduzione al volume vale senz’altro una parte consistente del prezzo.

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