Doomsday – Il giorno del giudizio (film)

(Recensione apparsa sul blog Nella Mente di Redrum)

In Scozia dilaga una terribile epidemia, che conduce gli infetti a morire. Per questo motivo il virus viene chiamato “Reaper”. Per contenere il contagio, viene costruito un lunghissimo muro d’acciaio che segue il vecchio tracciato del Vallo di Adriano, per separare completamente la Scozia dal resto della Gran Bretagna, abbandonando la popolazione scozzese a sé stessa. Dopo trent’anni il virus Reaper arriva anche a Londra e il Primo Ministro, sulla base di fotografie satellitari sulla Scozia risalenti a tre anni prima e raffiguranti degli esseri umani, è convinto che nel territorio di nessuno al di là del muro ci siano sopravvissuti e spera in un antidoto. Viene allestita una spedizione militare capitanata dal Maggiore Eden Sinclair, per andare a recuperare la cura.

Doomsday” è bellissimo. La recensione potrebbe chiudersi qui senza problemi, ma immagino che a nessuno piacciano solo quelle tre parole. Neil Marshall, regista e sceneggiatore, confeziona una pellicola di intensa azione a sfondo apocalittico, avendo in mente alcuni classici del genere risalenti agli anni Settanta e Ottanta: su tutti “Mad Max” e “1997: Fuga da New York“. Tuttavia non siamo nel campo del citazionismo sterile e fine a sé stesso, piuttosto in quello della vera passione per quel genere di film, un amore per il cinema di intrattenimento che dona a “Doomsday” un’anima tutta sua, per mostrare come certe pellicole siano ancora in grado di entusiasmare e coinvolgere noi spettatori. E per ogni “Doomsday” che ci ritroviamo a guardare, e per ogni Neil Marshall che ci mostra storie di questo tipo, noi spettatori non possiamo far altro che dire grazie e rifarci gli occhi davanti allo schermo.

Non so nemmeno da dove iniziare, perché in questo film c’è veramente di tutto. Botte da orbi, combattimenti medievali, duelli con katane, occhi bionici, cannibalismo di massa, inseguimenti folli con vetture decorate da menti malate, bombe a schiuma di polistirolo, bunker scavati dentro le montagne, scenari di desolazione, pazzoidi tornati a uno stadio tribale e sanguinario. Davvero, impossibile spiegare cosa tutto Marshall è riuscito a infilare in appena un’ora e mezza di pellicola, ed è impossibile riuscire a far capire come tutti questi elementi non stridano affatto l’uno con l’altro. L’ambientazione è curata a puntino ed è affascinante in tutte le sue sfaccettature: dalla Londra distopica della prima parte alla Glasgow decaduta e abitata dalla tribù di Sol, uno che non vorreste certo trovarvi davanti. Il ritmo è sempre alto ed è talmente serrato che il tempo a disposizione sarà anche ridotto, ma Marshall riesce a far accadere un sacco di eventi, al punto che quando arrivi alla fine hai vissuto – non visto, badate bene, vissuto – così tante situazioni che ti sei anche dimenticato come tutto era cominciato. Chi si ricorda, arrivati i titoli di coda, dell’incursione nella nave per stanare quel gruppetto di criminali? Tutto quello che si ha in mente è il tripudio di violenza, sangue e follia della Scozia post-apocalittica. E si tratta di un ricordo indelebile. La magia del cinema.

Rhona Mitra

Certo, ci sono alcune ingenuità a livello di trama, e non siamo proprio nei territori dell’originalità più pura, così come non ci sono dosi abbondanti di approfondimento psicologico, ma è inutile girarci intorno e perderci tanto tempo: gli obiettivi di “Doomsday” sono completamente diversi. Un’avventura al cardiopalma, in cui la rappresentazione visiva della violenza è parte fondamentale. Il sangue schizza abbondante dappertutto, corpi interi vengono spappolati, oppure arsi vivi e macellati sul momento per essere distribuiti a una massa di cannibali deliranti. Il tutto senza che la regia risparmi nulla allo spettatore, perché così deve essere, per trasmettere al meglio l’isteria che ha colpito i sopravvissuti di Glasgow. E quando pensi che non ci possa essere peggio al peggio e che la fazione rivale, capeggiata da Kane, possa essere in realtà l’esatto opposto di quella vista nella ex città più popolosa della Scozia, ti rendi conto che anche un medico idealista, vedendosi voltare le spalle dal governo e dalla società civilizzata, può tornare al medioevo, instaurando un regno di torture e giochi omicidi per i suoi prigionieri. E allora capisci che effettivamente non c’è più nessuna speranza, nonostante uno dei personaggi secondari si affretti a precisare che c’è sempre speranza. Nel mondo di “Doomsday” c’è solo violenza e dolore, sofferenza e furia. Il mondo al di là del muro di contenimento, del resto, non è per niente rosa e fiori, piegato dagli intrighi di potere e dalla disparità socio-economica.

Non è un caso se la protagonista, il maggiore Eden Sinclair, interpretata da una bravissima Rhona Mitra, si ritrovi a essere una persona ai margini di quella società che, come poliziotta, dovrebbe difendere. Scrocca continuamente sigarette agli altri perché costano troppo. Elemento insignificante, sufficiente a darle un’iniziale caratterizzazione, ma in realtà sintomatico di tutta la sua personalità: quello che cerca Eden è all’interno del suo passato, in Scozia, il suo rapporto con il presente – e con il futuro – non è altro che uno scambio di favori, un continuo rubare attimi, una costante sopravvivenza senza guardare in faccia nessuno, senza avere un briciolo di interesse per una civiltà che ha fallito sotto ogni punto di vista, e con cui ha rapporti solo fino a quando può tornarle comodo. Eden Sinclair non scrocca solo sigarette al suo superiore, ma scrocca ore di vita alla stessa esistenza, se le prende con la forza. Un personaggio egoista, violento, superiore a tutti, quasi intoccabile. Infatti, nonostante una piccola battutina di un soldato sul fatto che lei sia una femmina a capo di una squadra di maschi, per tutta la pellicola non c’è alcun scivolone verso connotazioni di quel tipo. Il maggiore Sinclair è una donna sì, ma è una donna che sa sparare, decapitare con una katana, cavalcare e guidare una Bentley come un pilota professionista, non un oggetto da mostrare per mandare in visibilio il pubblico dotato di testosterone. È un’eroina capace di tutto, una guerriera. Uno di quei personaggi che in film del genere spiccano come titani, fissandosi nella mente dello spettatore.

Lee-Anne Liebenbergh

Rhona Mitra interpreta benissimo il ruolo che il regista le ha assegnato, ma non è l’unica a essere perfettamente calata nel proprio personaggio. Ho trovato tutte le recitazioni di buon livello, da Lee-Anne Liebenbergh, che interpreta Viper, la ragazza di Sol, a Bob Hoskins, il superiore di Eden Sinclair nel reparto di polizia. Il cast se la cava alla grande, insomma, anche quando si ha a che fare con personaggi immensamente sopra le righe come possono essere quelli presenti nella Scozia devastata dal virus Reaper, casi in cui diventa difficile renderli credibili senza scivolare nel ridicolo involontario.

Neil Marshall dirige con maestria e riesce a non far abbassare mai il livello di attenzione dello spettatore. Nei combattimenti c’è dinamismo, agilità, ma mai confusione, anzi, ogni dettaglio viene enfatizzato, per mostrare al meglio quello che sta succedendo. Un esempio su tutti è proprio il combattimento tra Eden e Viper, nel corridoio delle prigioni di Sol: le due donne volteggiano, con le spade in mano, e il duello sfrutta l’interazione con l’ambiente circostante e anche con gli altri personaggi presenti sulla scena. La varietà poi è sempre presente, passando dagli scontri a fuoco a quelli all’arma bianca, e concludendo poi con uno spettacolare inseguimento in auto. Se è intrattenimento quello che si cerca andandosi a guardare film di genere come “Doomsday”, è intrattenimento puro quello che si ottiene. Un divertimento formato dal fascino dell’ambientazione apocalittica, dall’epicità che trasuda da ogni sequenza d’azione e dall’impatto della protagonista. Un divertimento per cui, come dicevo all’inizio di questa recensione scritta a caldo, bisognerebbe andare da Marshall, stringergli la mano e dirgli grazie.

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